martedì 27 novembre 2007

Bambini

Oggi è una giornata strana, di quelle ovattate. Sarà l'otite. Tutto i giorno che studio Hegel e Marx (visto prof?) con pause nelle quali mi dedico alla lettura più rilassante che conosca..Topolino. Dalla cucina mi arrivano le voci di mio fratello, di un suo amico e del loro maestro di chitarra. Bambini (il maestro no). Un po' li invidio. Per carità, non tornerei indietro. Credo nel progresso, e quindi nella crescita. Però rimpiango quella capacità che hanno di divertirsi con poco, di ridere delle piccole cose. Quando mio fratello mi viene a dire di essere annoiato è perchè piove, o ha già giocato a tutto, o ha finito i compiti. Invece spesso io mi annoio anche quando a qualcosa da fare. O forse desiderio di qualcosa di più. Ma cosa. Riapro il libro.

Bambini

Oggi è una giornata strana, di quelle ovattate. Sarà l'otite. Tutto i giorno che studio Hegel e Marx (visto prof?) con pause nelle quali mi dedico alla lettura più rilassante che conosca..Topolino. Dalla cucina mi arrivano le voci di mio fratello, di un suo amico e del loro maestro di chitarra. Bambini (il maestro no). Un po' li invidio. Per carità, non tornerei indietro. Credo nel progresso, e quindi nella crescita. Però rimpiango quella capacità che hanno di divertirsi con poco, di ridere delle piccole cose. Quando mio fratello mi viene a dire di essere annoiato è perchè piove, o ha già giocato a tutto, o ha finito i compiti. Invece spesso io mi annoio anche quando a qualcosa da fare. O forse desiderio di qualcosa di più. Ma cosa. Riapro il libro.

Così adesso non corro, non corro                                                                    mi fermo a guardare                                                                                     ogni giorno che passa è un fratello                                                                    a cui dare la mano, e poi si vedrà                                                            

Aria!!!

Img_0803_9 Era un po' che non scrivevo, vuoi a causa dello studio, vuoi a causa del tempo (atmosferico) . Domenica ero in treno, diretta a Chatillon, dove abita mio papà. Nei pressi di Ivrea, ho scorto oltre la collina, il gruppo del Monte Rosa. Un soffio d'aria nei polmoni. Arrivata a destinazione, non che sia un granchè, un paesino di fondovalle buio, ho ricominciato a respirare, incessantemente. Le bianche Dame di Challand e lo Zerbion, impolverato di neve recente, mi hanno fornito l'aria necessaria ad affrontare una settimana a casa. In attesa del prossimo week end. Questa volta sugli sci. Trattengo il respiro

sabato 17 novembre 2007

Sogno?

Sembrava impossibile riuscire a sopravvivere. Un forte rumore dentro di lei e un silenzio assordante fuori, insopportabile. Come se fosse stata travolta da una frana. Non poteva nè resistere al dolore nè affrontarlo. E allora aveva deciso di non resistere. Aveva lasciato tutto, casa, genitori, e si era messa a fare la cameriera, lontano. Una taverna sulla spiaggia a Creta, e lì i ricordi non l'avevano seguita. Aveva affittato uno studio sulla collina, e aveva rimesso insieme i pezzi della sua vita su un terrazzo con vista sul mare, immersa tra gli ulivi.                                                                              Era una mattina di settembre, il mare splendeva sotto la luce del sole e accoglieva in sè il rosso delle rocce, il verde grigiastro degli alberi e in alcuni punti addirittura il bianco delle ville sulla collina.                            Con un misurato movimento della mano lisciò un'impercettibile piega della tovaglia e spostò un bicchiere di qualche millimetro, perchè catturasse meglio i raggi del sole, riflettendo così silla grigia terrazza della taverna i colori dell'isola. Tanto, quella mattina non sarebbe venuto nessuno. Nel resto del mondo stava cominciando un anno lavorativo, un anno di scuola, un anno di routine noiosa e ripetitiva. Non avrebbe mai più permesso a quella routine di stressarla, di tentare di spezzarla piegandola fino all'inverosimile. Quel giorno avrebbe cominciato a lavorare solo verso mezzogiorno, servendo il pranzo ai Greci, e quindi aveva tutta la mattina per sè. Non sapeva se esserne contenta. Avere de tempo libero significava pensare, fare i conti con se stessa, rischiando di trovarsi davanti dei ricordi scomodi, impossibili da elaborare.                                                         Tolse i sandali e scese in spiaggia passando per una scala di corda, saltellando per non ferirsi i piedi, poi scivolò giù sulla sabbia. Avanzò fin sul bagnasciuga lasciando che le onde le lambissero i piedi, mentre tra le sue dita danzavano granelli di sabbia rosa. Poco più in là, tra quattro scogli, in una pozza d'acqua salata, riposavano immobili paguri e patelle.


Lui la vide da lontano. Si era tolta i vestiti e si era allungata a pancia in giù sulla sabbia, i suoi capelli biondo cenere nascondevano il reggiseno del bikini rosso fuoco. Il suo orologio d'oro mandava bagliori accecanti, mentre con la mano sorreggeva il viso che non aveva mai smesso di sognare, le lunghe ciglia brune gettavano un'ombra sui suoi enormi occhi azzurri, che cambiavano colore insieme al cielo e le maree, e su quelle labbra infantili che ora mordeva coi denti. Leggeva. Chissà se era ancora quello il libro, se ancora rifletteva, cercando una connessione tra quelle tre storie d'amore a cui solo la morte aveva saputo porre fine, se rimuginava ancora su quel discorso contro la pena capitale, il più celebre della letteratura, che troppo tempo prima gli aveva letto con voce vibrante davanti al camino. In un'altra vita. Rimase ancora un attimo fermo a guardarla, cercando di trattenere il coraggio che ora gli sfuggiva, come l'acqua sfugge da una vasca quando viene tolto il tappo, poi la raggiunse.                                                          Immersa nella lettura, intuì la sua presenza silenziosa, mentre sulla sabbia si andava disegnando una sagoma scura. Fece una strana fatica a riconoscerlo, per qualche istante le parve che la sua immagine traballasse, stentando a stamparsi sulla retina. Non era poi molto che non si vedevano, ma era tutto..lontano. Non era mutato. Sempre la stessa espressione negli occhi scuri, così seria e attenta da sembrare triste, sempre la stessa piega sottile delle labbra, vagamente canzonatoria. Tanti ricordi le stavano piombando addosso tutti insieme, e non voleva occuparsene subito. Non poteva. Pregò che non parlasse, che la lasciasse libera di raccogliere i vestiti, la borsa, lo scatolone ancora sigillato contenente il suo passato e di scappare. Naturalmente, parlò. "Picca. Finalmente" Era giunto fin lì per costringerla a misurarsi col suo dolore e forse a tornare a casa. Ma in un certo senso questo la rassicurava, le dava conforto, non aveva più paura.             Guardandolo, si sentiva come quando, in palestra di roccia, una volta arrivata in cima, doveva scendere. Una scelta obbligata, di fronte alla quale provava sempre una fugace incertezza. Decise di buttarsi, e lui fu la sua corda. Chiuse gli occhi e lasciò fluire i pensieri. Un istante più tardi, era in lacrime tra le sue braccia.  Molto più tardi, dopo avergli offerto un pranzo e dopo aver fatto una lunfga passeggiata con lui lungo la spiaggia, oltrepassando scoglierie e gelidi fiumiciattoli, tornò a casa, risalendo la collina.       uscendo in terrazza si fermò ad accendere lo stereo, e con decisione cercò il brano giusto. Fabrizio Dè Andrè, Il Pescatore. Serena immagine di morte, e quieta manifestazione di anarchia. Si sedette sul divanetto è ripensò alla loro conversazione sugli scogli. Era stato pacato, ragionevole, l'aveva portata a riflettere sulla sua condizione, facendo sì che ella ammettesse di non poter trascorrere lì l'inverno. Doveva tornare. Accese una sigaretta, si sedette sul muretto a contemplare il mare. I raggi della luna piena giacevano sull'acqua, cullati dal moto incessante e rassicurante delle onde, e andavano ad illuminare il suo polso sottile, la brace che si consumava. A pochi chilometri da lì, posandosi sul davanzale di una finestra di una stanza d'albergo in paese, la luna illuminava un'altra sigaretta, un altro polso, un profilo sicuro e dei grandi occhi scuri che si andavano a perdere tra le onde. Chiudendo le ante, Picca rimase un secondo a fissare il panorama che le si presentava davanti, e si ritrovò a pensare a quello che l'aveva condotta lì. Aprì il diario e cominciò a scrivere.                                                                "Ricordo il buio, l'atmosfera creatasi tra di noi. Il suo profumo, le labbra morbide sulle mie, lo sensazione di sfregamento della barba dura. Lo sporgere di un osso del polso, la profondità scura dei suoi occhi, i capelli soffici tra le mie dita. La vita sottile, le ossa sporgenti. la dolcezza. Poi la risata silenziosa, la sua testa abbandonata contro il sedile, la sua mano nalla mia, sulla mia guancia, tra i capelli. Di nuovo la testa  sul suo petto, poche parole, insignificanti di fronte all'immensità di questo momento. I fari di un'auto ci disturbano, mi ripara con le braccia, serra gli occhi, un fascio di luce maleducata illumina il suo viso magro. Ma tutto il resto, i suoi lineamenti, il suono della sua voce, le carezze mi sfugge, risucchiato dal buio di quella notte, oltre il finestrino, oltre la montagna, oltre noi, oltre la realtà. Perchè quella notte, tra le braccia di un uomo bellissimo, ho vissuto un sogno."   Eccolo lì. Scritto. 1sogno, era fuggita a causa di un sogno. E ci aveva messo 5mesi a capirlo. Assurdo, o forse no. forse era così che doveva andare. La mattina dopo, al'alba, Picca tese la mano a lui, che mai l'aveva giudicata, pronta a tornare a casa. Conservando un sogno nel cuore.

venerdì 16 novembre 2007

E lo zaino?

Tram2800torino h.7.55. Come ogni mattina, affrontavo quella che è l'impresa più ardua e faticosa della mia giornata: il tragitto casa - scuola sui mitici autobus dell GTT. Il mezzo non era fortunatamente molto affollato, come sempre attenta a non intralciare ero nella zona centrale, con lo zaino appoggiato per terra e tenuto fermo con le gambe. Un anziano signore mi si avvicina, e mi comunica che sono una testa di...CENSURA! perchè tenendo lo zaino in quel modo occupo spazio. Non perdo la calma, lui è maleducato, io no, gli faccio notare che se lo tenessi sulle spalle intralcerei molto di più, senza contare che è un peso considerevole. Tutt'altro che convinto, il signore mi informa che non ho timbrato il biglietto (mi spiava?!?). Gli rispondo che sono abbonata. Non ci crede. Sfortunatamente, scende prima che io possa replicare. D'altronde, non avrei saputo cosa dire. Allucinante! Per carità, il viaggio in autobus è stressante per tutti, ma non sarebbe meglio se cercassimo di sorridere invece di trovare pretesti assurdi per attaccare il nostro prossimo?  Ai posteri l'ardua sentenza!

giovedì 15 novembre 2007

Idioti!

Idiota Scrivo per parlarvi di un libro. L'autore è, non c'è quasi bisogno di dirlo, Fedor Dostoevskij. Il romanzo è "L'idiota". Protagonista è il principe Myskin, che al suo ritorno in Russia, dopo anni trascorsi in Svizzera, si ritrova coinvolto in un vortice di storie d'amore, vissute con una passione torbida e violenta, ed egli non sarà in grado di scegliere tra la bellissima Nastasja e l'aristocratica Aglaja. L'epilogo sarà, com'è ovvio, sconvolgente. Il principe è una creatura superiore, la sua idiozia sta nel fatto che egli dice sempre ciò che pensa, è accidioso e si fida ciecamente degli altri. L'autore in un certo senso sospende il suo giudizio sul personaggio; io penso che l'idiota sia ognuno di noi. E' il mio eroe.

mercoledì 14 novembre 2007

Voce fuori dal coro?

Bambi Spesso mia mamma mi definisce così. Mi piace studiare ciò che mi interessa, cerco di dare il massimo, a volte troppo, anche nelle materie che mi lasciano indifferente, grazie (o a causa?) di uno sviluppatissimo senso del dovere. I miei amici sono soprattutto persone con qualche anno più di me, che hanno imparato a capirmi, a rispettare i miei silenzi e le mie stranezze,  a loro è permesso rimproverarmi, spesso sono stata riportata sulla retta via da una parola detta sottovoce, da un sorriso ironico o dallo sguardo deluso di un amico (a chi di dovere...grazie di esistere). Con loro sto bene, sono me stessa, posso parlare liberamente dei miei interessi e di quelli comuni, senza sentirmi giudicata.                                                                                Mi capita invece di provare disagio quando mi trovo coi miei coetanei. La maggior parte di loro non fa che celebrare discoteche, alcolici, fumo (mai fumato una canna in vita mia), sembrano vantarsi di essere in ritardo con lo studio, dei loro rapporti conflittuali coi genitori, spesso fatti di bugie. Non so partecipare a questi discorsi, così come loro prestano ai miei solo un interesse di convenienza. Fatico a trovare reali punti di contatto, loro non sembrano interessati a crearne. Mi chiedo spesso se sono sbagliata io, che non ho mai detto bugie a mia mamma, e non provo fastidio all'idea di andare in vacanza con la mia famiglia. A volte mi viene da pensare che la "loro" sia una maschera, un conformarsi a un qualcosa di...boh. E perchè poi? Io non mi sento certo meno sicura. Mi si dice spesso che dovrei aprirmi, ma come? mi sembra di venire da un altro mondo.                                                         Inutile dire che i commenti a questo post non sono solo ben accetti ma Images quasi richiesti :-)  stellina

martedì 13 novembre 2007

amore e morte

Contessa, che è mai la vita? é l'ombra d'un sogno fuggente, la favola breve è finita, il vero immortale è l'Amor


                                        Giosuè Carducci

Per chi ha volato con me

Valleaostamontecervino_5Ti amo, angelo sceso dal cielo solo una notte per accarezzarmi. Non ti dimenticherò mai. Forse un giorno il mio sogno si avvererà. In ogni caso,sii felice

Amore

"L'ho conosciuto anch'io quest'amore, sovrano dei  cuori, anima dell'anima nostra: non mi ha valso mai altro che un bacio e venti calci nel culo."


                                                                     Voltaire,"Candid"                                                                                 











                                                                                                


lunedì 12 novembre 2007

Silenzio

Poche luci accese, il paese sembra...fermo. La notte è così buia che non si vede dove finiscono le montagne e dove comincia il cielo. In giro non c'è nessuno; ogni tanto un'auto che passa, con la luce dei suoi fari e il suo rumore, mi riporta dolcemente alla realtà, almeno per un attimo. Cammino piano, con le mani in tasca, il giubbotto tirato su fin sotto il naso, e respiro. Aria fresca, aria pulita, aria di montagna. Aria che mi arriva distintamente nei polmoni, e così un po' di qust'atmosfera diventa parte di me. Cammino ancora, in discesa. Le luci del benzinaio risaltano violente, troppo violente nel buio di questa notte. Qualche metro più in basso rispetto a me riposa immoto il cimitero, ed emana una strana pace. Da lontano, odo il rumore delle acque del Marmore che corrono veloci. un torrente sa sempre dove andare. Cammino ancora, sempre verso valle, e vedo brillare l'insegna di un bar. Qualche uomo solo che beve. Due vecchietti giocano a carte immersi nel fumo dei loro sigari. Due ragazzi si tengono per mano bevendo un semialcolico. Tanto, sono già ubriachi di effimera felicità.                                            Alzo lo sguardo. Piccole stelle. Chissà se viste da vicino le stelle hanno davvero quella forma che da piccola faticavo tanto a disegnare. Da qui paiono solo punti luminosi. Così scuro, il cielo sembra ancora più profondo. e l'infinito è immenso, e io in confronto immensamente piccola. ma non ho paura. é bello stasera essere sola nel buio, senza pensare a domani